
In sintesi l'autrice ha idealmente ripercorso - fatte le debite proporzioni - l'itinerario tracciato da Stiven Spielberg e dalla sua "Visual History Foundation" nelle cui memorie il regista e i suoi collaboratori hanno raccolto e salvato le testimonianze dei sopravvissuti alla Shoah e ai "campi" di annientamento del Terzo Reich. Entrambe le vicende si inseriscono nella "follia del Novecento", nell'Europa percorsa dagli eserciti, nella fuga e nella persecuzione di intere popolazioni. L'Istria, la Dalmazia, Fiume, ma anche Trieste entrano a pieno titolo in questa classificazione dell'orrore ma il sangue, la morte, le sparizioni costituiscono la premessa ai tanti raccolti salvati da Viviana Facchinetti. Nelle parole di chi è stato intervistato non c'è odio ma solo tanta speranza nel futuro.
Nino Paulin, Luciana e Fabio Rosin, Stelio Visintin, Virgilio Figo, Fabio e Derio Comar, Renato Esposito, Guglielmo Zugna e tanti altri affrontano un viaggio per mare che si protrae per almeno 40 giorni. Le navi si chiamano "Flaminia", "Australia", "Toscana" a bordo della quali le famiglie vengono quasi sempre divise: le mamme con i bambini e le figlie, i papà con i ragazzi più grandi. Nelle stive finiscono gran parte dei bauli e delle valige. «Molti portarono con loro tutto ciò che possedevano: libri, cappotti, tamburelli, anche la macchina da cucire, all'incirca sette - otto bauli» scrive l'autrice. «Mentre la nave si staccava dal molo, i grandi erano impensieriti per il passo che avevano fatto». I bambini, al contrario, non sapevano cosa significasse quella partenza: a bordo si potevano divertire con altri coetanei, giocare, tuffarsi nella piscina.»
Nel ricordo di Teddy Crepaldi c'è anche l'abito rosso indossato dalla madre per la partenza. «Pensava di facilitare amici e familiari schierati sulle rive: con un vestito di quel colore non l'avrebbero persa di vista mentre salutava dal ponte del Toscanelli». Era il settembre del 1955 e a Trieste giravano voci insistenti sui possibili licenziamenti innescati dalla fine del Governo militare alleato e del conseguente ritorno della città all'Italia. All'epoca in effetti aveva avuto una certa fortuna e diffusione lo slogan: «Torna la mamma, i figli se ne vanno».
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