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domenica 27 dicembre 2015

LA MEMORIA DEI FRIULANI, STORIA DI UNA MIGRAZIONE ITALIANA IL 22 E 23 GENNAIO A BORGO HERMADA








La "Memoria dei Friulani storia di una migrazione italiana" e' un iniziativa promossa dalle Femines Furlanes Fuartes in collaborazione con il Gruppo Ermada Flavio Vidonisla Sezione di Borgo Hermadala Pedagnalonga, il Fogolar Furlans di Latina, il Centro Anziani di Borgo Hermada, nell ambito del progetto "Isonzo Soca 1915 Voci di Guerra in Tempo di Pace.
Interviste, fotografie e video ai protagonisti, ai figli e ai nipoti di coloro che sono emigrati dal Friuli a seguito delle vicende della Grande Guerra, nella pianura pontina, dove sono nati i borghi con i nomi delle battaglie piu' note avvenute sul Carso. 
Il video che verrà realizzato con sottofondo le canzoni interpretate dal Coro S.Ignazio di Gorizia, verrà  presentato ad aprile nel corso della Pedagnalonga a Borgo Hermada e nella Provincia di Udine nella tarda primavera.

A corredo del Video una mostra itinerante con le immagini dei "parenti" e immagini dell epoca.


Le interviste verranno effettuate da Barbara Clara, attrice, che in questo progetto collaborerà nelle veste di "VIDEO MAKER", collaborazione che già da tempo si potrae con l'Associazione "Femines Furlanes Fuartes".



I Borghi di Latina:
sintassi compositiva e tipologie delle nuove città rurali

Marco Pizzo

DAL SITO http://www.borghidilatina.it/

La bonifica dell’area pontina consentì di poter progettare una serie diffusa di interventi urbanistici, tramite la creazione di piccoli agglomerati urbani all’interno di un’area territoriale omogenea avente come fulcro la neo-fondata Littoria/Latina. Un orientamento non troppo dissimile da quello pensato quasi nello stesso torno di anni, da Marcello Piacentini con il gruppo degli Urbanisti Romani che nel 1929 aveva presentato il “Programma Urbanistico di Roma”, che vedeva l’area urbana della capitale attorniata da una serie nuove borgate rurali nell’ottica di un visione decentrata della città (1).
Se si volessero individuare delle direttrici ideologiche alla prassi architettonica che aveva presieduto gli orientamenti degli architetti-costruttori dei Borghi di Latina si dovrebbe notare come, in qualche modo. proprio qui si componga il dissidio tra eclettismo e razionalismo. Un razionalismo che nella prassi costruttiva deve tornare alle “elementarità della composizione... [alla] razionalità strutturale, [... alla] aristocratica ricerca di raffinatezza nelle proporzioni, nel cromatismo, nella verità della materia, nei particolari, e soprattutto nella perfezione della esecuzione” (2).
Per i Borghi dell’area pontina si possono pertanto recuperare le affermazioni di Piccinato che nel 1934 aveva parlato, per il caso di Sabaudia, di centri sorti “al servizio della Bonifica” (3). Allo stesso modo, qualche anno più tardi, Ugo Todaro aveva scritto che “solo ad un osservatore molto superficiale la creazione delle città di bonifica può sembrare una manifestazione di urbanesimo, quanto meno, di benevola indulgenza verso la deprecata aspirazione all’inurbamento che tende a diffondersi nelle masse rurali moderne. E’ vero il contrario” (4).
All’interno della progettazione e la successiva costruzione dei vari Borghi dell’area pontina, all’interno degli anni Venti-Trenta, è possibile individuare due diversi orientamenti. Il primo cerca di utilizzare la tradizione tipologica del passato attraverso un recupero ed una reinvenzione delle cifre stilistiche di alcuni particolari periodi storici ed artistici (in particolare l’arte romanica del Duecento); l’altro più legato alla prassi costruttiva del contemporaneo orienta i nuovi borghi verso l’essenzialità razionalista che aveva già informato la fondazione e la costruzione di aree urbane più estese - Littoria/Latina, Sabaudia, Pontinia, Aprilia - appartenenti al medesimo territorio all’incirca nello stesso torno di anni.
Tutti e due gli orientamenti vogliono però arrivare alla costruzione dei nuovi insediamenti utilizzando strutture tipologiche ben individuate che indichino la loro funzione e ne “mostrino” la funzione. I borghi avrebbero mantenuto, pertanto, come caratteristica comune quella di organizzarsi tramite l’addizione di unità significative a sé stanti, messe l’una in relazione con l’altra: la chiesa, la scuola, la dispensa, il deposito idrico, la casa colonica, ecc.
Se si volesse poi ulteriormente semplificare questa divisione si potrebbero individuare in Borgo Bainsizza, Borgo Sabotino, Borgo Podgora, Borgo San Michele, Borgo Pasubio, Borgo Carso e Borgo Faiti, Borgo Grappa, Borgo Isonzo e infine, Doganella e Borgo Montello, gli insediamenti che si muovono nell’ottica di una cultura architettonica che cerca la reinvenzione attraverso l’utilizzo della tradizione, mentre Borgo San Donato, Borgo Hermada, Borgo Montenero e Borgo Piave, sono i progetti urbani più spinti verso l’assimilazione e l’utilizzo dei nuovi dettami dell’architettura razionalista in aree adatte a questa nuova sperimentazione “tematica”.
Si tratterà di un percorso costante e comune all’interno dell’architettura e dell’urbanistica degli anni Venti e Trenta. Infatti, come ha notato Carlo Cresti, è possibile trovare dei “punti di contatto tra ruralità e mediterraneità”, ossia tra i centri della nuova bonifica e le nuove colonie d’Africa. Infatti, come afferma lo stesso autore, “basta guardare l’architettura di questi centri... per accorgersi degli effetti di un connubio stilistico... e per ritrovare nell’impostazione del disegno urbanistico... i medesimi concetti che guidavano alla costruzione delle borgate pontine” (5). Infatti, nei Borghi di Latina, così come nelle nuove città coloniali d’Africa “ciascuno dei comprensori dei nuovi appoderamenti faceva capo ad un centro rurale dotato - di solito - di chiesa, municipio, scuola, casa del fascio, locanda, ambulatorio, mercato, caserma dei carabinieri, ufficio postale” (6).
Iniziando a considerare l’insediamento architettonico di Borgo Podgora, possiamo osservare come la chiesa mostri in maniera palese quelli che erano gli orientamenti di un gusto eclettico ormai attardato che cerca nella reinvenzione della cifre architettoniche dell’epoca romanica un mezzo per dare un suggello di dignità artistica a queste realizzazioni di dimensione “ridotte”.
Si osservi come viene recuperato con estrema libertà il lessico compositivo. Basterà elencare alcuni elementi compositivi utilizzati (le lunghe monofore laterali, i leggeri risalti delle lesene laterali esterne quasi a sottolineare il gioco interno degli spazi, i contrafforti angolari) per vedere come sia chiaro questo orientamento stilistico. Ma altrettanto interessanti sono gli scarti rispetto alla regola. Sulla facciata si imposta un breve portico-avancorpo circondato da un basso muretto, necessario probabilmente per separare “fisicamente” il corpo della chiesa dal terreno antistante. Questo corpo in aggetto, se richiama alla mente il protiro classico dell’architettura romanica, pure lo immette all’interno di un linguaggio più comune all’edilizia borghese che a quello dell’architettura sacra.
Allo stesso modo la trifora inscritta in un arco tamponato a tutto sesto recupera solo il modello della “trifora” dalla tradizione romanica utilizzandolo però in un contesto costruttivo (la facciata della chiesa) del tutto anomalo. Si dovrà perciò parlare di vaga ispirazione romanica piuttosto che di neoromanico, o forse ancora meglio, di re-invenzione del romanico. Un recupero stilistico che è tanto più libero nel momento in cui il costruttore architetto si trova ad operare in aree rurali, specifiche dell’edilizia “minore”.
Questi orientamenti artistici erano stati utilizzati anche per “attrezzare” la decorazione figurative interne. Le pareti della chiesa, infatti, erano state suddivise in riquadri da cornici con un motivo a meandro rettilineo. Sulla parete di fondo una coppia di campiture, che affiancava l’anomala trifora a tutto sesto, mostrava due altari con i simboli sacramentali incorniciati da due velari aperti come piccoli sipari liturgici. Un soggetto iconografico, questo, chiaramente derivato dalla tradizione paleocristiana dei mosaici ravennati di San Vitale in una mescolanza di derivazione per cui il romanico arriva a comprendere, come patrimonio stilistico, tutta l’arte “primitiva”, ossia antecedente al Rinascimento. Non a caso il coronamento superiore mostra un Cristo in trono con i simboli del tetramorfo, esemplati questa volta da temi cari alla pittura del Duecento italiano.
Il medesimo orientamento è visibile in Borgo San Michele, dove chiesa e torre-orologio-serbatoio idrico si costruiscono in rapporti reciproci che citano, non a caso, la formula del piccolo fortilizio medievale. In questo caso, però, il rispetto dei canoni del medievalismo diffuso sembra più aderente alle tipologie di riferimento: la chiesa si apre con un portichetto a tre arcate sormontato da un nitido oculo centrale, sulle pareti esterne risaltano le eccedenze delle cappelle interne, la decorazione reinventa un ipotetico romanico padano. Allo stesso modo la pesante torre, ben separata dall’edificio ecclesiastico, fa emergere la volontà di comporre il Borgo come aggregazione di unità tipologiche ben distinte.
Sempre a Borgo San Michele l’unità edilizia abitativa della scuola assume l’aspetto di una villa fortificata rinviando però non tanto a precedenti medievali, quanto ai piccoli castelletti rurali dell’area della campagna dell’Italia centrale, a lungo studiati anche dagli architetti del Novecento. Si vedeva, infatti, una sorta di collimazione tra ruralità e razionalità, in qualche modo insita anche all’interno del progetto di “bonifica integrale”. Non a caso Enzo Carli su Casabella del 1936, a proposito degli scritti di Pagano titolati Architettura rurale italiana scriveva che “l’evoluzione della fabbrica rurale... ci interessa solo in quanto in una forma estremamente elementare ed obiettiva essa esemplifica ed incarna plasticamente tutti i presupposti tecnici su cui si fonda la polemica intorno all’architettura razionale” (7). Un concetto seguito prontamente anche dalla critica architettonica successiva come nel caso di Pane, che per i borghi rurali della vicina Campania, si trovò a scrivere che proprio l’architettura rurale “è densa di significati e vicina al senso moderno per la sua schiettezza costruttiva, per l’elementarietà dei mezzi epressivi; è razionale nell’ambito dei suoi particolari valori e scopi” (8).
Questa volontà di creare delle strutture architettoniche “forti”, con volumi ampi e ben delimitati, seppur ispirate ancora al gusto architettonico della “tradizione” del passato, è ben esplicitata anche in altri Borghi come nell’Edificio alloggi di Borgo Carso - un “moderno” castello medievale - o il torrioncino di Borgo Pasubio (in particolare la struttura ospitante la Mensa degli Scapoli) o, ancora, l’edificio dispensa e scuola di Borgo Isonzo, che rappresentano sia singolarmente che tutti insieme, dei momenti di transizione verso il funzionalismo razionalista.
Parzialmente dissimile è il discorso per il complesso architettonico di Borgo Sabotino. Qui le singole unità abitative sembrano proseguire i moduli cari alla tradizione costruttiva del primo Novecento, non evidenziando particolari che risaltino in modo evidente. La chiesa, al contrario si pone immediatamente come il fulcro dell’intero insieme abitativo grazie alla sua forte connotazione stilistica. L’interesse del suo progettista sembra orientato verso la palese volontà di creare una forte ibridazione della sua “forma” architettonica che è una mescolanza di neo-paleocristiano e neo-rinascimentale.
La bassa cupoletta a calotta sostenuta da un tamburo di finestre che raccorda i bracci della croce e dell’innesto della navata centrale con il transetto è una sperimentazione volumetrica della pianta a croce greca che rinvia ai grandi modelli del passato (si pensi al Bramante) con una spregiudicata volontà di connotare anche un piccolo luogo di culto rurale. La chiesa di Borgo Sabotino si costituisce come un unicum diverso rispetto al contesto edilizio che gli si sta creando intorno, privilegiando al contrario degli altri Borghi la difformità rispetto all’uniformità.
Per rendersi conto di questa volontà basta confrontare il centro del primitivo agglomerato urbano di Borgo Bainsizza.
Anche qui la chiesa, nella veduta d’insieme del primo insediamento abitativo, si pone come cardine, punto centrale di ogni futuro sviluppo, ma, in questo caso, l’orientamento neomedievale è supportato dalle altre unità abitative che ancora seguono criteri di onesta prassi costruttiva.
Un cenno a parte merita il caso di Doganella.
In questo caso le costruzioni, dalla Casa Colonica alla Scuola, mostrano di adottare un lessico eccentrico rispetto alle altre analoghe costruzioni dei Borghi. Sembrerebbe quasi che i nuovi coloni, provenienti dall’area del triveneto, abbiano innestato qui modelli propri, in un consapevole e deliberato rispetto/memoria della loro area di origine. L’edificio scolastico, ad esempio, se estratto dal contesto pontino potrebbe benissimo essere trapiantato nelle aree del Piave o sulle pendici del bellunese, mentre è interessante osservare come la chiesa forzi la tradizione “medievale” poggiando sul coronamento del tetto a spiovente, un’edicola leggera, impostata su agili collonnine, che sembra richiamare precedenti romanici dell’area veronese, mentre la partitura decorativa interna a finti velari sembra recuperata dai tanti affreschi due-trecenteschi diffusi un po’ in tutta la penisola.
Ben diversa è l’ispirazione dell’edificio ecclesiastico di Borgo San Donato.
Anche se ci si muove all’interno della volontà di recupero della tradizione romanica, pure in questo caso la reinvenzione è condotta più criticamente non cercando di avvicinare le forme costruttive “per imitazione” (come nel caso di Borgo Podgora), secondo cioè un procedimento caro alla tradizione dell’accademia eclettica, quanto piuttosto di riassorbire le citazioni neo-medievali all’interno di una sapiente prassi costruttiva sintetica e razionalista. In questo caso il tipo che si vuole connotare è quello della chiesa che viene scomposto nei suoi elementi costitutivi (campanile, rosone, arco d’entrata, protiro). Tutti elementi che vengono poi sapientemente riassorbiti in un testo unitario in cui l’unico particolare decorativo è costituito dall’alto arco in risalto entro il quale sono armonicamente inscritte la porta d’ingresso a l’ampia finestra. In questo caso anche gli ambienti di servizio laterali, giocano con lo stesso senso dei volumi semplici e lineari creando una cifra stilistica ben visibile.
I borghi della pianura pontina diventano così delle esemplificazioni lineari delle “città nuove” nelle quali si cerca di percorrere una duplice strada. Da una parte si tenta l’esemplificazione di modelli standard portatori autonomamente di specifici valori. La chiesa, la Casa del Fascio, la scuola, il cinema, ecc, dovranno perciò essere delle strutture funzionali e caratterizzanti, immediantamente visibili e percepibili. Dall’altra si nota come queste diverse unità costruttive ed abitative utilizzano dei moduli costruttivi costanti seppur nella variazione.del loro assemblaggio.
Restando sempre a Borgo San Donato osserviamo come gli edifici che affiancano la chiesa - una unità abitativa sulla sinistra e il serbatoio dell’acqua sulla destra - utilizzino sempre i medesimi criteri architettonico-decorativi. Il risalto grafico dell’arco-portale della chiesa si trasforma nel serbatoio dell’acqua in una cifra grafica lineare che scandisce la superficie, rievocando, in scala ridotta lo svettare del campanile; la semplice volumetria dell’unitarietà del corpo della chiesa si modella nell’unità abitativa mossa dagli incassi degli spigoli che scolpiscono e rendono più fluido il grande blocco quadrangolare, che assume l’aspetto volumetrico di una croce greca, una pianta quindi con forti reminescenze ecclesiastiche.
Questa volontà di connotare fortemente quegli edifici-funzione al fine di renderli protagonisti dell’assetto urbano generale, è visibile anche nella progettazione del deposito idrico di Borgo Piave. Si tratta di una sorta di grande colonna-faro, dalla pianta poligonale e con gli spigoli definiti da una lesena-costolatura in leggero aggetto che individua il piano superiore (la funzione-deposito) tramite una sorta di fascia circolare. A dare maggiore risalto al corpo del deposito idrico ecco che si viene a creare un loggiato aperto che circonda come un anello, in basso, l’intera struttura.
L’intero corpo del deposito idrico di Borgo Piave assume così una dignità monumentale, apparentandosi assai strettamente con il suo analogo-funzionale rappresentato dalla torre-deposito di Pontinia, dove questo elemento diventa il fulcro visivo dell’intero complesso urbano, forse uno dei più armonici dell’area pontina, e forse è proprio Pontinia, più che l’eccezione rappresentata da Sabaudia, che serve come tramite per arrivare a comprendere oggi la composizione strutturata di Borgo Montenero.
A Borgo Montenero le varie unità abitative, la Casa del Fascio, la torre d’avvistamento, la scuola compongono un insieme unitario. Tutti gli edifici si dispongono in genere su due piani, privilegiando uno sviluppo orizzontale. Solo alla torre d’avvistamento viene affidata la funzione di interrompere questo dispiegamento armonico, per segnalare la presenza. Tutte le unità abitative sono organizzate tramite la sapiente combinazione di aperture, porte e finestre, che si dispongono ritmicamente sulla superficie, i balconi stessi diventano delle superfici chiuse piuttosto che degli spazi aperti. Tutti i particolari costruttivi, dai serramenti alle maniglie, dalle panche fino alle decorazioni esterne, sono improntate al decoro e alla semplicità secondo un’ottica che privilegia la sottrazione rispetto all’aggiunta e all’ornamentazione.
Medesima è la strada seguita a Borgo Hermada. In questo caso, come di consueto, si progetta un centro che vuole essere autosufficiente: per cui vengono predisposti gli edifici necessari, secondo un criterio di evidenza della funzione. L’edificio postale e la Casa del Fascio, così come la scuola e il dispensario farmaceutico si attrezzano in strutture omogenee, prive di risalti ornamentali. L’unica decorazione utilizzata è rappresentata dalla variazione delle superfici, che si staccano dal suolo mediante rari gradini oppure aggettano in leggero risalto sulle lisce facciate.
Singolare, a questo riguardo appare la chiesa di Sant’Antonio.
Una imponente facciata rettangolare, delimitata in basso da una fascia cromaticamente distinta, che contiene il portale è affiancata da un robusto campanile “bucato” da tre grandi monofore rettangolari. Anche in questo caso il percorso seguito è quello della grande lezione del razionalismo architettonico. Ma la cosa che rende interessante questa realizzazione è la volontà di esplicitare la derivazione da un modello, il romanico abruzzese, che viene utilizzato dopo aver fatto decantare tutti i suoi complessi ornamentali.
L’ampia facciata rettangolare riassume e sintetizza le visioni delle tante chiese romaniche dell’area abruzzese e marchigiana (si pensi ad esempio a Santa Maria di Collemaggio) con le loro ampie facciate “a vento”; solo che queste citazioni sono ora riassorbite in una sigla grafica unica. Resta lo spazio misurato e razionale della facciata mosso solo dalle sue due aperture-funzioni (la porta e la finestra centrale).
Allo stesso modo il campanile si serve dell’espediente delle tre ampie monofore rettangolari per sintetizzare le tante bifore comunemente utilizzate nella costruzione dei tanti campanili romanici. Anche qui l’effetto visivo è reso stilizzato in una cifra unica e riassuntiva.
E’ questo lo stesso percorso utilizzato anche nell’edificio ecclesiastico di Borgo Vodice dove la chiesa, a pianta circolare, con due sezioni circolari digradanti, è forata da oculi e viene ancorata al suolo tramite un pesante campanile che diventa il fulcro dell’intera struttura. Anche in questo caso i modelli di richiamo sono quelli antichi, della Roma paleocristiana piuttosto che romanici (si pensi a Santa Costanza o, ancor meglio a Santo Stefano Rotondo sul Celio) ma si tratta di citazioni “ideali” di modelli ormai culturalmente ed esteticamente completamente assimilati.
Borgo San Donato, insieme a Borgo Vodice, a Borgo Hermada, a Borgo Montenero e, in parte, Borgo Piave, rappresentano l’atteggiamento più avanzato e “moderno” che cerca di creare proprio nei Borghi Rurali dell’area pontina un laboratorio di sperimentazione sulla possibilità di costruire “città nuove”, città del futuro in cui la forma rispecchi la funzione e la decorazione sia parte integrante della forma stessa.
1 - Il progetto in questione venne presentato in occasione della I mostra Nazionale dei Piani Regolatori, che si tenne all’interno del Palazzo delle Esposizioni di Roma nel settembre del 1929. Nello stesso anno si svolse anche il XII Congresso Internazionale dell’Abitazione e dei Piani Regolatori. Cfr. Mario Lupano, Marcello Piacentini, Bari-Roma, Laterza, 1991, p. 196.
2 - M. Piacentini, Il momento architettonico all’estero, in “Architettura e arti decorative”, 1921, p. 72.
3 - L. Piccinato, Il significato urbanistico di Sabaudia, in “Urbanistica”, III, 1934.
4 - U. Todaro, L’edilizia urbana e rurale, in "L’Agro Pontino anno XVIII", Roma 1940.
5 - C. Cresti, Architettura e fascismo, Firenze 1986, p. 126.
6 - C. Cresti, op.cit., p. 126.
7 - E. Carli, Il genere architettura rurale e il funzionalismo, in “Casabella”, 1936, n. 107.
8 - R. Pane, Architettura rurale campana, Firenze 1936.

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